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La cultura che potenzia il nostro core business: dopo la survey parte il percorso di capacity building

welfare culturale_articolo _oltre l'arte_photo francesco margutti

Rigenerazione di spazi urbani, potenziamento dell’impatto di interventi di cura e integrazione, gestione di beni materiali o immateriali, produzione culturale, protagonismo nelle filiere economiche a trazione culturale come quella turistica o quella artigianale. 

Le imprese sociali la cultura “ce l’hanno nel sangue”. O meglio la cultura è uno strumento potentissimo per potenziare il core business delle cooperative sociali, dei consorzi e delle reti, con l’obiettivo condiviso del bene della comunità. A dirlo sono le storie delle nostre realtà socie, attive in tutta la penisola sul fronte culturale. A fotografarlo, una recente survey condotta insieme a Aiccon (il Centro Studi promosso dall’Università di Bologna, dall’Alleanza delle Cooperative Italiane e da realtà, pubbliche e private, operanti nell’ambito dell’Economia Sociale) e al collettivo BLAM.

“Se è vero che la dimensione culturale si è rigenerata nel rapporto con il sociale, allora il sociale deve rigenerarsi nel rapporto con la cultura – ha commentato Paolo Venturi di Aiccon durante il nostro webinar di restituzione della survey – La cultura è elemento costitutivo del movimento cooperativo ed è una grande occasione per rigenerare motivazioni, innovare il rapporto con la pubblica amministrazione, alimentare nuove economie di comunità e trasformazioni territoriali e tornare a mettere al centro della missione la comunità, non come utenza ma come attore che co-produce un valore”.

I risultati della survey: la cultura che trasforma

23 cooperative sociali, 2.789 dipendenti, 107 milioni di fatturato, questi numeri del campione coinvolto nella survey con Aiccon. I risultati? Il 26,1% delle cooperative opera in maniera prevalente nei settori culturali e il 50% dei dipendenti interagisce/coopera in attività/servizi/progetti a matrice culturale. 

principali ambiti di intervento sono: rigenerazione urbana, gestione di beni e infrastrutture culturali, welfare culturale, filiere economiche a trazione culturale. Rispetto alla rigenerazione, fanno scuola le esperienze a Reggio Emilia con il Consorzio Oscar Romero e a Torino con Impresa Sociale Co-abitare, mentre sulla gestione dei beni abbiamo a Napoli, la Cooperativa Proodos che anima il Complesso Monumentale di S. Anna dei Lombardi e a Firenze la Eda Servizi che porta avanti i servizi bibliotecari della rete fiorentina. Poi c’è il welfare culturale di Sol.Co Mantova, gli interventi nelle filiere economiche turistiche a Matera con il consorzio La Città Essenziale, dell’artigianato a Monza con il Consorzio Comunità Brianza,  e dell’agricoltura sociale a Cremona con il Consorzio Sol.Co Cremona. E questi sono solo alcuni degli esempi.

I destinatari degli interventi culturali sono sia persone in condizione di vulnerabilità (il 69,6% di questi sono disabili), sia persone non in condizione di vulnerabilità o vulnerabili potenziali (la maggior parte sono giovani). Dal punto di vista delle risorse economiche, il 65% del campione investe fino al 25% delle disponibilità in cultura e le risorse provengono per la maggior parte da bandi (78,3% di fondazioni, 52,2% comunali, 43,5% regionali), mentre è basso il contributo del fundraising.

Interessante il capitolo delle alleanze. I compagni di viaggio delle cooperative negli interventi culturali sono altre cooperative o imprese sociali, pubbliche amministrazioni, associazioni o Odv, Fondazioni e università. Rilevante la platea di professionisti freelance (43,5%), coinvolti però in maniera occasionale. Il rapporto tra le cooperative e i partner si instaura per di più attraverso una co-progettazione con terze realtà extraculturali (43,5%) o con terze realtà culturali (30,4%). 

La fotografia delle prospettive dice del margine di crescita. Il 35% delle cooperative ha in programma di investire in interventi culturali più di 100mila euro nei prossimi 5 anni, in particolare su ambiti che riguardano innovazione di prodotto e capitale umano. 

Il metodo è la rete: il percorso di capacity building

Partendo da questa situazione, cosa chiedono le cooperative alla rete? Essenzialmente, supporto su risorse umane, strategie di ricerca fondi e co-progettazione, formazione e valutazione di impatto.

“Il tema della cultura come leva del cambiamento – ha concluso Paolo Venturi nel webinar – è un tema potente, ma fragile. C’è bisogno di un metodo e il metodo non può che essere di rete”. E allora, dato l’interesse e il potenziale, come CGM, stiamo per lanciare un percorso di capacity building aperto alle realtà che già realizzano interventi culturali e a quelle che intendono realizzarli. 

Il percorso avrà dei focus: formazione e autoformazione, reskilling del personale e nuove competenze, partnership, modelli di business e capacità progettuali. “Dal punto di vista della rete – spiega Andrea Biondello, consigliere CGM con delega alla cultura – in questo momento, la cultura è importante perché ci permette di riconnetterci alla comunità che abitiamo e questo è fondamentale oltre che per le organizzazioni, anche per le persone fragili che accompagniamo perchè così le rendiamo visibili e non sono residuali. Inoltre, la cultura è uno strumento potente per attrarre nuovi imprenditori sociali, per rappresentare la creatività e la bellezza della nostra azione e attirare nuove leve per le governance del futuro”. 

In copertina Oltre l’Arte, Matera – photo Francesco Margutti

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